CNC e misure protettive: le prime pronunce dei Tribunali

Continua il nostro percorso di approfondimento sulla composizione negoziata della crisi d’impresa. Approfondiamo qui l’istituto delle misure protettive cui l’imprenditore può accedere dinanzi al Tribunale, tutelandolo dalle pretese dei creditori. Le prime pronunce giurisprudenziali sull’argomento chiariscono alcuni passaggi ancora incerti della disciplina.

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Di Alessandro Malerba

L’accesso alle misure protettive

L’articolo 6 del decreto-legge 118/2021 che istituisce la Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa (CNC) consente all’imprenditore in crisi che accede alla composizione negoziata di chiedere l’attivazione di alcune misure protettive con l’obiettivo di vietare ai creditori di acquisire titoli di prelazione non concordati e di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio dell’impresa o dell’imprenditore.

La finalità è consentire all’imprenditore di negoziare con i creditori una soluzione, al riparo degli effetti pregiudizievoli derivanti dalle loro pur legittime iniziative individuali come pignoramenti di beni o conti correnti, sequestri di forniture e beni e altre. Le misure, però, per essere efficaci dipendono interamente dalla pronuncia di un tribunale cui il debitore deve ricorrere contestualmente alla pubblicazione dell’istanza di ammissione alla composizione e dell’accettazione dell’esperto. Secondo la sentenza del Tribunale di Brescia del 2 dicembre 2021, una delle prime in materia, qualora non vi sia stata l’accettazione dell’esperto al tribunale competente non si può richiedere di confermare le misure poiché queste, in realtà, non sono mai di fatto intervenute.

Più possibilista invece l’orientamento relativo alla carenza documentale: se la pubblicazione dell’istanza di accesso alla composizione è stata consentita anche in assenza di alcuni dei documenti richiesti come ad esempio una situazione patrimoniale aggiornata, il piano finanziario a sei mesi e la relazione sulle misure industriali da adottare (qui per maggiori informazioni sulla domanda), deve esserne consentita al giudice e all’esperto la consultazione funzionale alla decisione, cosicché sarebbe esercitabile il potere-dovere di integrazione (Tribunale di Milano, 28 dicembre 2021).

Non impedisce la conferma nemmeno il mancato reale avvio delle trattative con i creditori – comprensibile in una fase così iniziale della composizione: a confermarlo il Tribunale di Firenze (sentenza 29 dicembre 2021) il quale però richiede all’esperto nominato di confermare che pur in assenza di un piano compiuto, il risanamento appaia ragionevolmente perseguibile alla luce del test pratico, che le situazioni contabili siano corrette ed affidabili, e che l’assetto amministrativo della società sia sufficientemente.

L’ampiezza delle misure

L’orientamento che emerge alla luce delle prime pronunce sembra improntato a criteri di selettività.

In linea con le indicazioni comunitarie e la direttiva Insolvency (2019/1023), il Tribunale di Roma con sentenza 3/02/2022 ha confermato il principio secondo cui il modello c.d. automatic stay (che inibisce le azioni esecutive individuali a tutti i creditori, senza distinzione) non può applicarsi indiscriminatamente ma solo nei confronti di chi si è già attivato con iniziative individuali la cui prosecuzione può compromettere la continuità e la soluzione della crisi o il rispetto della gerarchia delle prelazioni. Per coloro che sono estromessi dall’automatic stay, invece, è possibile instaurare azioni esecutive individuali nel corso dello svolgimento della composizione.

In ogni caso, le misure protettive, come argomenta il Tribunale di Milano (decisione del 27 gennaio 2022) in perfetta continuità con il passato (Corte di Cassazione, sentenza 25802/2015), determinano la sola sospensione, e non l’inefficacia, delle procedure esecutive già instaurate, non consentendo quindi la liberazione delle somme già colpite da pignoramento, che rimangono indisponibili per il debitore, sino all’esito della composizione.

Se questo orientamento basato sulla selettività fosse confermato nella pratica giudiziale, ne deriverebbe la necessità per il debitore di una costante verifica dei procedimenti monitori introdotti dai creditori non inibiti dalle misure protettive, con lo scopo di richiederne progressivamente l’inclusione, prima che i provvedimenti cautelari si consolidino rendendo indisponibili le somme colpite, con effetti negativi per le già deboli capacità del debitore di trovare la copertura al fabbisogno finanziario dell’azienda in crisi ai fini del rispetto del proposto piano.

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