Le donne e il lavoro in Italia: una strada lunga da percorre

L’Italia si posiziona al 28° (e ultimo) posto in Europa per partecipazione femminile al mercato del lavoro, qualità e diversificazione lavorativa. Il forte divario nella partecipazione maschile e femminile al mercato del lavoro e il gap retributivo come ulteriore ostacolo all’emancipazione e all’indipendenza femminile.

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L’occupazione femminile e gli incentivi esistenti

La parità di genere è un diritto umano fondamentale, nonché il cardine di una società pienamente inclusiva che punti a migliorare le condizioni di vita delle persone e delle comunità.

Ad oggi, le donne non godono ancora di partecipazione paritaria nella vita politica, economica e pubblica, continuano ad essere oggetto di discriminazioni e violenze, ricevono retribuzioni inferiori e affrontano barriere culturali per fare carriera.

Sebbene, le donne siano man mano più presenti nei diversi ambiti lavorativi e raggiungano posizioni di rilievo in alcuni settori, tali cambiamenti non sono ancora sistematici e permangono forti squilibri.

Italia ultima in Europa

Il dossier “L’occupazione femminile” del Servizio Studi della Camera dei deputati, pubblicato lo scorso dicembre, evidenzia le forti disuguaglianze di genere in Italia, fanalino di coda in Europa per il tasso di occupazione femminile.

Nella penisola il tasso di occupazione femminile “risulta essere – secondo dati relativi al IV trimestre 2022 – quello più basso tra gli Stati dell’Unione europea, essendo di circa 14 punti percentuali al di sotto della media Ue: il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni è stato, infatti, pari al 55%, mentre il tasso di occupazione medio Ue è stato pari al 69,3%”.

Nell’ultimo rapporto, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile riporta che i progressi degli ultimi sette anni per il conseguimento del Goal 5 (Parità di genere) dell’Agenda 2030 sono stati limitati.

Profili critici

Dal rapporto della Camera emerge che il mercato del lavoro è ancora caratterizzato da un accentuato divario retributivo di genere. Secondo gli ultimi dati Eurostat, il gap retributivo medio (ossia la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne) è pari al 5% (al di sotto della media europea che è del 13%), mentre quello complessivo (ossia la differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini) è pari al 43% (al di sopra della media europea, che è invece pari al 36,2%). Secondo i dati dell’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell’INPS, nel 2022 la retribuzione media annua è costantemente più alta per il genere maschile: 26.227 euro per gli uomini contro 18.305 euro per le donne, con una differenza di 7.922 euro.

Come riportato dall’indagine periodica sull’evoluzione delle retribuzioni svolta da ODM Consulting il gender pay gap in Italia si attesta al 10,7% nel 2023.

Un ulteriore criticità riguarda le caratteristiche dell’impiego: in larga parte precario e in settori a bassa remuneratività o poco strategici, con una grande prevalenza di lavori part time.

La bassa partecipazione delle donne è determinata da vari fattori, tra cui l’assenza o scarsità di servizi che aiutino a conciliare vita e lavoro. Una donna su cinque esce dal mercato del lavoro a seguito della maternità e la decisione è determinata per oltre la metà delle donne (52%) da esigenze di conciliazione e per il 19% da considerazioni economiche. Il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra 25 e 49 anni con figli di età inferiore ai 6 anni è pari al 55,5%, mentre quello delle donne della stessa età senza figli è del 76,6%.

Secondo il Rapporto ISTAT SDGs 2023, la suddivisione del carico di lavoro per le cure familiari tra uomini e donne non migliora. In questo scenario, l’istruzione è un fattore protettivo per l’occupazione delle donne con figli piccoli: la differenza occupazionale tra lo status di madre e non madre è molto bassa in presenza di un livello di istruzione più elevato, con un valore dell’indicatore pari a 91,5%

Incentivi alla parità di genere

Il legislatore ha previsto taluni esoneri contributivi, in favore dei datori di lavoro che assumono donne, con l’obiettivo di sostenere l’ingresso e il rafforzamento della presenza femminile nel mondo del lavoro.

Alle imprese che assumono a tempo determinato e a tempo indeterminato oppure trasformano a tempo indeterminato un precedente contratto a termine è riconosciuta una riduzione dei contributi dovuti dal datore di lavoro pari al 50% per il 2024, senza limite di importo annuo.

L’agevolazione fa riferimento alle lavoratrici:

  • con almeno 50 anni di età e disoccupate da oltre 12 mesi;
  • di qualsiasi età, ovunque residenti e prive di impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi;
  • di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi e residenti in un’area svantaggiata;
  • di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi con professioni o attività lavorative in settori economici caratterizzati da un’accentuata disparità di genere.

La durata massima di fruizione dell’incentivo è pari a:

  • 12 mesi in caso di contratto a tempo determinato;
  • 18 mesi in caso di contratto a tempo indeterminato o di trasformazione a tempo indeterminato di un precedente rapporto. In quest’ultimo caso se il rapporto è stato agevolato dall’origine la durata decorre dalla data di assunzione, viceversa dalla data di trasformazione.

L’assunzione a tempo determinato e a tempo indeterminato, nonché la trasformazione a tempo indeterminato un precedente contratto a termine, di donne disoccupate vittime di violenza dà diritto ad un esonero contributivo totale, nel limite massimo di importo di 8.000 euro annui.

La durata dell’agevolazione è pari a:

  • 24 mesi se il contratto è a tempo indeterminato;
  • 18 mesi in caso di trasformazione a tempo indeterminato e il calcolo avviene dalla data di assunzione a tempo determinato;
  • 12 mesi se il contratto è a tempo determinato.

L’esonero contributivo è valido per il triennio 2024-2026 ed è considerato aiuto di Stato quindi soggetto alla limitazione di 300.000 euro per 3 esercizi finanziari.

Imprese femminili

Nel rapporto annuale 2023, l’Istat riporta che le imprese femminili attive nel 2020 erano 1 milione e 200 mila (circa il 27% del totale), operanti per lo più nel settore dei servizi (69% a fronte del 51% delle imprese maschili), caratterizzandosi per una più elevata incidenza nel settore terziario.

Al fine di favorire le imprese femminili, la legge di bilancio 2021 ha istituito il Fondo impresa femminile, con programmi ed iniziative per la diffusione della cultura dell’imprenditorialità tra la popolazione femminile, programmi di formazione e orientamento verso percorsi di studio STEM e verso professioni tipiche dell’economia digitale.

Per il 2024 il DDL Made in Italy ha stanziato nuovi fondi per l’imprenditoria femminile, per 10 milioni di euro. Si parla di finanziamenti agevolati a tasso zero, con durata massima di 10 anni per progetti che prevedono investimenti fino a 3 milioni di euro fino ad una copertura massima del 90% delle spese ammissibili.

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