Crisi d’impresa: il residuo attivo è tassabile nel concordato?

Le riduzioni dei debiti successivi all’omologazione del concordato preventivo sono interamente tassabili a fini fiscali: a dirlo l’Agenzia delle Entrate lo scorso 20 aprile. Cosa significa questo in termini di modulazione della detassazione e quali conseguenze possono registrarsi nell’applicazione della normativa della crisi d’impresa?

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di Alessandro Malerba

L’Agenzia delle Entrate (AdE) si è pronunciata sulle riduzioni dei debiti successivi alla omologazione del concordato preventivo: lo scorso 20 aprile 2022, infatti, AdE con l’interpello 201/2022 ha infatti affermato che, anche se emerse «con cessione dei beni», le sopravvenienze attive che risultano da tali riduzioni dei debiti risultano interamente imponibili, non essendo qualificabili come sopravvenienze da esdebitazione concordataria e non potendo perciò trovare applicazione la detassazione prevista dall’art. 88, comma 4-ter, del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). 

La fattispecie prevista dall’art. 88, comma 4-ter del TUIR, infatti, secondo l’AdE, produce effetti solo con riferimento alla riduzione prodotta dal provvedimento di omologa e non per tutte le sopravvenienze attive relative a ulteriori transazioni poiché, pur essendo «conseguite in fase di esecuzione di concordato, esulano dall’originario concordato omologato». Ed è proprio su questa interpretazione che potrebbero emergere profili problematici in grado di produrre effetti negativi: vediamo quali sono.

A giudizio di chi scrive, la limitazione opposta da AdE non risulta conforme alla ratio della norma citata e dell’art. 86, comma 5 in tema di plusvalenze conseguite nel concordato preventivo ovvero non gravare di oneri fiscali un’impresa già soggetta a procedure come concordato liquidatorio o fallimento in considerazione della sua effettiva «incapacità contributiva». In quest’ottica, è del tutto indifferente la causa della riduzione nonché la fase in cui essa interviene, poiché nel concordato con cessione di beni la percentuale proposta costituisce solo una previsione e l’effetto esdebitatorio si produce al termine della fase di esecuzione del concordato.

Condivisibile, sempre a giudizio di chi scrive, risulta invece l’interpretazione AdE circa l’integrale imponibilità dell’eventuale residuo attivo (in denaro o natura) che emerge dopo il soddisfacimento delle ragioni dei creditori e ciò sempre in virtù della ratio sottesa alle due norme sopra richiamate: si condivide quanto detto dall’Agenzia perché esso costituisce una manifestazione di capacità contributiva, analogamente a quanto prevede per il fallimento l’art. 183 del TUIR, indipendentemente dal fatto che esso sia formato anche da risorse generate da plusvalenze e sopravvenienze che siano di per sé non tassabili a norma degli artt. 86 e 88 del TUIR.

In merito al primo aspetto l’Agenzia illustra nell’interpello come sul piano civilistico «il concordato preventivo» è disciplinato nel Titolo III (artt. 160 – 186 bis) della Legge Fallimentare – si tratta del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, come modificato dal DL 14 marzo 2005, n. 35 e successive modifiche. 

Su questo punto è bene chiarire che, a fini fiscali, il concordato preventivo non gode di una disciplina specifica ai fini delle imposte sui redditi ma nel TUIR si rinvengono due disposizioni, applicabili alla generalità dei concordati a prescindere dalla finalità liquidatoria o di prosecuzione dell’attività, che regolano due particolari aspetti: la cessione e il trasferimento dei beni e dei diritti compresi nel patrimonio dell’impresa; gli effetti conseguenti alla riduzione delle passività per effetto della omologazione e della esecuzione della proposta concordataria.

Tornando nello specifico all’interpello AdE da cui siamo partiti (201/2022) relativo alla riduzione delle passività, l’art. 88, TUIR, al comma 4-ter, secondo periodo, come modificato dall’articolo 13, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, dispone che «Non si considerano, altresì, sopravvenienze attive le riduzioni dei debiti dell’impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo liquidatorio (…). In caso di concordato di risanamento, di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (…) la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all’articolo 84, (…)».

In breve, il comma 4-ter prevede un beneficio fiscale per il soggetto che versa in stato di difficoltà rappresentato:

  • al primo periodo, dall’esclusione integrale da imposizione delle riduzioni dei debiti dell’impresa derivanti da procedure di concordato fallimentare e di concordato preventivo «non di risanamento» (e quindi liquidatorio);
  • al secondo periodo, dall’esclusione parziale delle riduzioni dei debiti derivanti da «concordati di risanamento» o da accordi di ristrutturazione del debito e da piani attestati.

Cosa vuol dire tutto questo? In sostanza, la citata disposizione modula la detassazione per le riduzioni dei debiti derivanti dalla omologa della domanda di concordato, in funzione della forma di esecuzione e dello scopo che la procedura intende perseguire, per evitare, nel caso in cui la procedura non sia finalizzata alla cessazione dell’impresa, l’utilizzo futuro delle perdite derivanti dalla detassazione di sopravvenienze attive.

Nel commento l’Agenzia specifica che «in relazione alle riduzioni dei debiti derivanti dalle procedure poste in essere dal socio della Società in fase di esecuzione del concordato (riduzione di debiti a fronte di attività giudiziale attivate dal socio o a seguito di versamenti diretti dal socio il creditore), si ritiene che le relative sopravvenienze attive concorrano interamente alla formazione della base imponibile IRES ai sensi dell’articolo 88 del TUIR. Ciò in quanto si tratta di componenti di reddito che, sebbene conseguite in fase di esecuzione di concordato, esulano dall’originario concordato omologato».

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